Pavel Durov ne ha visti di attacchi informatici. È uno che ne capisce. Ma quando, qualche giorno fa, ha assistito a un assalto da 150 Gigabyte al secondo non ha creduto ai suoi occhi. “Non ho mai visto un attacco DDoS così forte come quello di oggi contro Telegram. E ne ho visti ai tempi di Vkontakte”.
Se le contromisure del sito hanno funzionato, forse è merito dell’esperienza di Durov ai metodi dei servizi segreti russi.
Lo scorso aprile, esattamente il primo aprile, un messaggio sulla pagina Vkontakte del suo fondatore, Pavel Durov, aveva fatto insospettire molti. “La gestione del nostro social network è sempre meno libera”, aveva scritto Durov. “Mi dimetto da direttore generale di Vkontakte”. Molti pensarono a un pesce d’aprile, il portavoce della società twittò che non si trattava di uno scherzo, il giorno dopo lo stesso Durov sembrò smentire la propria dichiarazione con un messaggio sibillino, salutò tutti e lasciò la Russia per una destinazione sconosciuta. Il 21 aprile ricomparve su Vk annunciando che i nuovi azionisti lo avevano licenziato. Che cosa è successo nel frattempo?Durov, che oggi compie trent’anni, ha creato un gruppo da 2,8 miliardi di dollari. È, in sostanza, il prototipo del giovane milionario del web, una specie di Zuckerberg russo. Ha fondato e guidato per sette anni il più grande social network del mondo russofono, con una penetrazione del mercato in Russia del 68%, contro il 21% di Facebook (Gallop survay/Rferl). Non è mai stato un filantropo, benché amasse gettare banconote da 500 rubli dalla finestra del suo ufficio a San Pietroburgo, né un vero oppositore del Cremlino.
Le mani di Putin sul web
Le cose hanno cominciato a cambiare quando, a novembre 2013, il gruppo di investimento Unite Capital Partners, un fondo guidato da Ilja Sherbovich, membro del consiglio di amministrazione della società petrolifera stataleRosneft,ha acquistato il 48% della società. Duemesidopo, Durov stesso ha ceduto il suo 12% alla più grossa web company russa, Mail.ru, controllata dall’oligarca Alisher Usmanov, l’uomo più ricco di Russia e molto vicino a Putin, che già possedeva il 40% delle azioni. Qualche mese dopo aver fatto fuori Durov, Sherbovych e Usmanov si sono accordati per la vendita del 48% di Ucpa Mail.ru, che ora possiede quindi il 100% di Vk. Secondo molti, tutta l’operazione è servita a portare il social network sotto il controllo di Putin, così come i media in generale, aggirando le regole societarie. Ne valeva la pena?Negli ultimi giorni a Vkontakte, Durov ha denunciato diversi tentativi della autorità di interferire sulla libertà del social network. Come l’ordine della procura di San Pietroburgo di chiudere la pagina del leader dell’opposizione russa, Alexei Navalny, e la richiesta dell’Fsb di oscurare gli account di molti attivisti ucraini di Euromaidan. Durov si sarebbe opposto e da questo sarebbe cominciata la manovra degli alleati del Cremlino per farlo fuori.
Che fine ha fatto Durov?
Sono in molti a notare come l’operazione per prendere il controllo di Vk sia pienamente in linea con la più recente politica del Cremlino sul web. È probabile che l’accentramento nelle stesse mani dei due siti più popolari in Russia, con un bacino di quasi 100 milioni di utenti, possa rendere più praticabili tutta una serie di strumenti per il controllo completo della rete da parte del governo. Come l’annunciato piano d’emergenza per isolare il web russo in caso di guerra con altri Paesi o sollevazioni popolari, oppure quello rivelato da Kommersant di un’internet completamente russo staccato dalla ragnatela globale. Ma c’è da dire che ad oggi, a sei mesi dal cambio di guardia al comando di Vk, la pagina di Navalnye molte di quelle di Euromaidan presenti nella richiesta dell’Fsb (oltre alla pagina dello stesso Durov) sono online e funzionanti.
Ma che fine ha fatto Durov? Le ultime informazioni lo danno felicemente all’estero con una bella manciata di milioni di dollari in tasca. Lui stesso dichiara di essere “da qualche parte in Europa”, mentre secondo il Moscow Times sarebbe scappato negli Emirati arabi prima di acquistare per 250mila dollari un passaporto dello stato caraibico di St. Kitts and Navis. A giudicare anche dai suoi ultimi tweet, si starebbe dedicando alla sua nuova creatura, l’app di messaggistica Telegram, che sarebbe figlia dell’esperienza di Vk. Con un sistema di cifratura a doppia chiave, i messaggi scambiati su Telegram sono inaccessibili anche all’Fsb e all’Nsa. Il sito di Telegram dichiara Berlino come sede, ma un’inchiesta della Berliner Zeitung non ha trovato alcun ufficio nella capitale tedesca, né alcuna società nel registro delle imprese. Molti indizi invece condurrebbero alla Gran Bretagna, transitando per le Seychelles, le Isole Vergini e il Belize. Se le tracce di Telegram sono misteriose come quelle del suo proprietario, è forse perché Durov ha imparato bene la lezione russa. E chissà se è una coincidenza che il più potente attacco DDoS al sito sia arrivato proprio ora che l’internet russo è sotto gli occhi del Cremlino.
Pavel Durov ne ha visti di attacchi informatici. È uno che ne capisce. Ma quando, qualche giorno fa, ha assistito a un assalto da 150 Gigabyte al secondo non ha creduto ai suoi occhi. “Non ho mai visto un attacco DDoS così forte come quello di oggi contro Telegram. E ne ho visti ai tempi di Vkontakte”.